venerdì 24 luglio 2009

La modernità occidentale e suoi nemici.

Nel 1942, non molto dopo l’attacco a Pearl Harbor, un gruppo di filosofi giapponesi si riunì a Kyoto per discutere del ruolo del Giappone nel mondo. Lo scopo di quel convegno ultranazionalista consisteva nel trovare il modo di “sconfiggere la civiltà moderna”, come dichiararono i suoi organizzatori. Poiché l’espressione “civiltà moderna” era solo un modo diverso per definire la civiltà occidentale, la riunione avrebbe potuto anche essere intitolata “la sconfitta dell’Occidente”. Rovesciando completamente la formula “abbandonare l’Asia e raggiungere l’Occidente”, il Giappone s’imbarcava in una sorta di “Guerra santa” per liberare l’Asia dall’Occidente, depurando le menti asiatiche dalle idee occidentali. Insomma, quella guerra santa era inseparabile da un esercizio, per così dire, di purificazione filosofica. L’agente purificatore era costituito da un miscuglio mistico di nazionalismo etnico di ispirazione germanica e di nativismo giapponese basato sulle dottrine zen e shintoiste. L’idea di base è che i giapponesi formano una “razza storicamente egemone”, investita dal compito divino di guidare tutti i popoli asiatici in una nuova era di Grande Armonia, e via dicendo. Ma che cosa era esattamente questo Occidente da cui bisognava purificarsi? Che cosa si doveva sconfiggere? Questa domanda è tornata d’attualità, dal momento che le principali caratteristiche di questo nemico occidentale sono le stesse che gli vengono attribuite oggi da Osama bin Laden e da altri estremisti islamici. Esse sono, in ordine sparso, il liberalismo, il capitalismo, l’individualismo, l’umanesimo, il razionalismo, il socialismo, la decadenza e il lassismo morale. Per sconfiggere questi mali era necessaria da parte del Giappone una prova di forza, non solo militare, ma anche morale e spirituale. Le caratteristiche fondamentali dello spirito giapponese o “asiano” erano il senso di sacrificio, la disciplina, l’austerità, la sottomissione dell’individuo al bene della collettività, la venerazione dell’autorità divina e una profonda fede nella superiorità dell’istinto sulla ragione. Anche se, naturalmente, nella guerra del Giappone contro l’Occidente c’era ben altro in gioco, questi erano i pilastri filosofici della propaganda bellica giapponese.
La principale espressione della rivendicazione giapponese del carattere divino della propria identità nazionale era un documento intitolato
Princìpi fondamentali della politica nazionale (Kokutai no Hongi). Pubblicato nel 1937 dal Ministero della pubblica istruzione, questo documento affermava che i giapponesi erano “intrinsecamente molto diversi dai cosiddetti cittadini delle nazioni occidentali”, perché la divina purezza del sangue imperiale era rimasta incontaminata e “noi guardiamo sempre all’imperatore come alla fonte delle nostre vite e di ogni nostra attività”. Lo spirito giapponese era ”limpido” e “sereno”, mentre l’influenza della cultura occidentale produceva confusione mentale e corruzione spirituale.


"You think you can make Japan a democratic country? I don't think so."
Shigeru Yoshida

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