Antica forma di teatro classico del Giappone, influenzata dal buddhismo zen. Il
Nō si sviluppò come fusione del dengaku (danza popolare per celebrare la semina del riso) e del sarugaku (danza popolare da villaggio, con mimi, acrobati e clown): la sua fisionomia formale, estetica e tecnica risale al XIV secolo e si deve a Kanami Kiyotsugu e soprattutto a suo figlio,Zeami Motokiyo, le cui opere sono rappresentate ancora oggi.
In base ai contenuti il Nō si divide in cinque categorie: può trattare di un dio, di un guerriero, di una donna, di un pazzo o di un demonio. Solo gli uomini possono recitare, interpretando anche i ruoli femminili. Lo shite (protagonista) indossa una maschera, scolpita nel legno e d’espressione neutra; gli fa da spalla un waki (deuteragonista). Il dialogo tra gli attori è accompagnato da gesti stilizzati; l’azione scenica, i pensieri e i moti interiori dei personaggi sono commentati da un coro (sei-otto persone) che prende posto alla destra del palco. L’accompagnamento musicale è fornito da tre diversi tamburi e da un flauto. Le rappresentazioni includono normalmente alcuni drammi intervallati da un kyogen (intermezzo burlesco).
Il Nō è uno spettacolo lineare e spoglio, tendente a evocare lo yugen, l’intrinseca bellezza che sta sotto la superficie delle cose; il realismo (come stile di recitazione o ambientazione), quindi, non rientra nel mondo del Nō. In accordo con i principi zen secondo i quali, per essere goduto appieno, ogni evento o atto deve essere rarefatto e distillato fino all’essenza, i movimenti degli attori sono pochissimi e selezionati, le maschere curate nei minimi dettagli e ogni elemento, comprese le più piccole suppellettili, ha valore simbolico. Sulla parete di fondo è dipinto l’unico elemento scenografico ornamentale del Nō: un vecchio pino nodoso.
(Fonti:
Encarta;
Trends in Japan)
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